
Oggi intervistiamo Claudio Lei, giovane autore modenese all’esordio con il sorprendente urban fantasy modenese Quasi umani (0111, 2012).
Quando e dove sei nato?
A Modena, il 10/03/1975.
Qual è il tuo primo ricordo?
Una stanza semi oscura rischiarata dalla tremebonda luce del televisore. Non ero solo, ma non mi sentivo nemmeno in compagnia, perché i ricordi sono troppo confusi per identificare delle persone, poi però mi hanno detto che si trattava dei nonni paterni.
Che rapporto hai avuto con i tuoi genitori? Che valori, ideali e aspetti caratteriali ritieni ti abbiano trasmesso?
Abbiamo un legame fatto di sentimenti forti, anche se i differenti stili di vita e le convinzioni incompatibili ci rendono guardinghi gli uni nei confronti degli altri, purtroppo questo impedisce all’affetto di essere liberamente espresso. Sono grato nei loro confronti per avermi trasmesso due cose in particolare: l’educazione e il senso del dovere, sono entrambi strumenti preziosi e sempre utili nel proprio bagaglio culturale e attitudinale, inoltre da mio padre ho ereditato la creatività artistica, essendo lui pittore, mentre da mia madre l’amore per la lettura.
Come ti trovavi a scuola?
Alle elementari bene, alle medie subodoravo una diversità serpeggiante e alle superiori non mi sentivo mai pienamente parte del gruppo.
Com’eri da bambino?
Sempre spaventato, avevo paura di tutto, eppure ricordo con dolcezza la mia infanzia, ripensandoci ero il negativo di quello che sono diventato.
Cosa amavi fare a quell’età, e cosa avresti voluto fare da grande?
Adoravo la scienza, i computer, le costruzioni, tutto ciò che dava forma alla mia creatività. Avrei voluto fare lo scienziato. In parte, frequentando ingegneria, ho seguito quell’inclinazione.
Com’è finita la tua infanzia?
La mia infanzia è finita il giorno in cui sono stato rifiutato da una ragazza per la prima volta.
Esiste una lettura che pensi ti abbia reso migliore, o peggiore, o che pensi ti abbia cambiato? Che cos’è successo dopo quella lettura?
Tutte le letture ci rendono migliori, anche quelle pessime, solo però se abbiamo coltivato il nostro spirito critico e la nostra capacità di confrontarci con l’opera. Se siamo in grado di farlo allora tutte le esperienze ci compenetrano e ci arricchiscono, altrimenti rischiano di essere esclusivamente eventi che attraversano la nostra finestra sul mondo. Se dovessi elencarne alcune allora direi Le affinità elettive di Goethe, Il deserto dei Tartari di Buzzati e 1984 di Orwell, tutte queste mi hanno parlato di un aspetto della vita, dei rapporti reciproci, della ricerca del percorso che vogliamo intraprendere, ma quella che mi ha cambiato più di tutte è stata Il crollo della galassia centrale di Asimov, perché mi ha fatto innamorare della lettura ed è un rapporto che non si è mai incrinato.
Quando e perché hai iniziato a scrivere?
Ho iniziato a scrivere per il bisogno di esprimere i pensieri che mi traghettavano dalla veglia al sonno, un momento di assoluta solitudine in cui le riflessioni fluiscono senza sforzo attraverso di noi, ma come sempre, se non prestiamo attenzione, rischiamo di non trattenere nulla.
Vuoi parlarci del libro paranormal Quasi umani, che hai da poco pubblicato con la casa editrice 0111?
Quasi umani è di fatto la prima opera che ho portato a compimento, affronta due degli argomenti che mi stanno più a cuore: l’individualità e il mistero. Il primo lo affronto ponendo la protagonista in contrasto con tutto ciò che avverte come moda, stereotipo o imposizione a cui adeguarsi, invece per il secondo ho eseguito una vera e propria ricerca, non diversa da quella che compie Diana, il personaggio principale. Ho compiuto un piccolo studio sull’esoterismo, sulle sue origini, i testi che hanno costituito il fondamento delle tematiche adottate e degli autori che li hanno scritti, si può dire che ho inseguito i percorsi che la magia ha tracciato nella storia dell’uomo.
Com’è nata l’idea di Quasi umani?
Quasi umani è nato pensando alle conseguenze delle proprie azioni, specialmente quando esse non solo appaiono giuste, ma doverose. Per prima cosa ho messo in discussione il mio sistema di valori e convinzioni, cercando di rappresentare quelle nel testo, affinché, indirettamente, emergessero come contrappunto gli aspetti di ciò che io, nonché la protagonista, rifiutiamo del nostro contesto.
Hai anche tu, come Diana, un animaletto di compagnia?
Vivo con due cani, i miei Border Collie: Bilbo (nome tratto dal romanzo di Tolkien) e Brendivina, detta Brendi (trasformazione al femminile del fiume che attraversa la contea: il Brandivino), ma non sono semplici animali di compagnia, sono componenti della mia famiglia, insieme a loro pratichiamo il bellissimo sport dell’Agility.
Diana è una ragazza davvero diversa o rappresenta qualcosa che si trova in ogni persona, in ogni essere umano, o quasi umano?
Ho cercato di dare a Diana il ruolo del rancore che scaturisce dal sentirsi oppressi e amalgamati in una massa anonima, la terrificante esperienza della disumanizzazione dell’individuo in una statistica, un membro di un’entità chiamata gruppo che nasconde l’umanità degli esseri che lo compongono.
Che rapporto hai con i tuoi personaggi, al di fuori del singolo libro? Continuano a stare nella tua vita o se ne vanno una volta che scrivi la parola fine?
I miei personaggi sono compagni di viaggio, stringiamo amicizia accomunati dal medesimo percorso che si snoda davanti a noi, ma concluso un libro si chiude il viaggio e sento il bisogno di nuove mete, nuove storie da narrare con compagni diversi.
Prima e durante la scrittura segui abitudini o rituali propiziatori particolari?
Sono molto metodico, quindi procedo per tappe: prima scrivo una brevissima sinossi per non scordarmi l’idea di fondo, poi la sviluppo leggermente dandole i connotati di una quarta di copertina, infine, prima di iniziare la stesura vera e propria del manoscritto, redigo le schede dei vari personaggi e la cronologia degli eventi che cadenzeranno lo sviluppo della trama.
C’è qualcosa in particolare che oggi ti angoscia, o ti fa paura?
Sì, mi spaventa la perdita di uno scopo, vivere come una sequenza di abitudini automatiche, perdere di vista il sogno e sentirne la mancanza giorno dopo giorno.
Qual è il ruolo delle nuove tecnologie nella scrittura odierna e qual è il tuo rapporto con computer, Internet, SMS, ebook, ereader, tablet, iPad e via dicendo?
Il ruolo della tecnologia, per gli scrittori come per chiunque altro, dovrebbe essere quello di servirci e semplificarci la vita, invece abbiamo deciso che i ritmi da seguire siano quelli delle macchine e siamo diventati tutti corridori che moriranno nell’inseguire un traguardo più veloce di noi.
Internet si è dimostrato uno strumento di incredibile utilità, non solo come fonte di documentazione, soprattutto grazie a Wikipedia, di cui sono orgogliosamente sostenitore, ma anche come mezzo di comunicazione tra i differenti attori nel mondo dell’editoria. Primo fra tutti ho avuto il privilegio d’incontrare il mio agente, Beniamino Soressi, che non solo ha creduto nel mio lavoro e ha notevolmente raffinato le mie capacità espressive, ma mi ha procurato il mio primo contratto editoriale. Ben presto mi sono iscritto a community letterarie, troppo spesso l’autore è ignaro di lusingare se stesso con i suoi testi, perciò è indispensabile confrontarsi con altri autori, o lettori, che siano del tutto estranei alla nostra cerchia emotiva. È troppo facile farsi giudicare solo dai nostri amici. Devo ringraziare gli incontri telematici compiuti successivamente se ho potuto affinare ancora il mio stile, inizialmente partecipando a concorsi letterari in rete organizzati dal forum Nasf, di cui adesso faccio parte e collaboro per il suddetto concorso, successivamente con la community BraviAutori, grazie alla quale ho organizzato uno dei Giveaway del romanzo Quasi Umani.
Che finalità può avere la narrativa in rapporto alla memoria e all’oblio? Si legge più per ricordare o per dimenticare?
Spesso la narrativa assolve il ruolo di ponte fra individui separati dal tempo, grandissimi uomini ci hanno lasciato pensieri illuminanti, che non potremmo conoscere senza le loro opere, quindi credo che nel leggerli per un attimo dimentichiamo le nostre vite e abbiamo la possibilità di apprendere e ricordare i loro insegnamenti.
Al di là degli scrittori, esistono artisti figurativi, musicali o di altro tipo, oppure film o opere d’arte che hanno influenzato la tua scrittura?
Il cinema ha ricoperto un ruolo fondamentale nella mia vita, spesso le scene che immagino e che poi trascrivo nei romanzi e nei racconti sono concepite nella mia mente come le sequenze di un film. Cerco sempre di ascoltare la musica giusta mentre scrivo, per giusta intendo quella che riesca a calarmi nello stato d’animo appropriato, quello che si trova sul confine tra ispirazione e bisogno di sfogarsi.
La scrittura di storie per te ha uno scopo? Se sì, quale?
Tutte le mie storie vengono prima concepite come fine narrativo e poi come trama, cerco sempre di partire dal messaggio che vorrei trasmettere e dalla situazione con cui vorrei rappresentarlo, dopodiché inizio a modellare i personaggi, le vicende che li legano e tutto il resto, quindi, per quanto mi riguarda, tutto ciò che scrivo ha lo scopo di confrontare il lettore con la proposta di riflessione dell’autore.