
Intervistiamo Carmelo Cossa, autore dei romanzi Toccare il cielo e La voce del silenzio e autore di una raccolta di poesie.
Quando e perché hai iniziato a scrivere? Qual è stata la prima opera letteraria che hai scritto in assoluto?
Ho cominciato a scrivere a quindici anni, nel 1969, pochi giorni dopo il mio arrivo a Torino dal Cilento. La mia prima opera letteraria, se così si può chiamare, è stata una poesia dal titolo Il treno. In realtà dapprima misi su carta le sensazioni e le paure che avevo provato quando avevo visto per la prima volta il treno. Fu poi rileggendo quelle righe che decisi di sistemarle e di farne una poesia.
Com’era lo scrittore Carmelo Cossa da bambino?
Ero un bimbo come tanti altri ma con un cruccio che pareva insormontabile: il terrore di fare il pastore o il contadino e di vivere tutta la vita in un ambiente che non sentivo mio. Eppure, pascolare le pecore aveva i suoi lati positivi: quando il gregge si inoltrava nei boschi, Carmelo aveva la sensazione di poter fare tutto ciò che voleva, proprio lui che in ambienti “normali” come la scuola o in un negozio o nella piazza gremita di gente si sentiva impacciato. Nella solitudine del bosco, invece, riusciva a dedicarsi completamente a se stesso riuscendo a muoversi senza peso insieme alle fronde degli alberi e, leggero, ascoltava il fruscio delle foglie e si lasciava trasportare immaginando il suo futuro oltre la poca terra che conosceva.
Cosa amavi fare a quell’età, e cosa avresti voluto fare da grande?
Amavo andare a scuola e imparare tutto ciò che potevo, ma il tempo di studiare era davvero poco perché, uscito da scuola, dovevo andare in campagna ad aiutare i miei genitori a lavorare la terra o a pascolare le pecore.
Quando parlo di quei tempi la mia voce s’increspa come un’onda sferzata dal vento perché l’andare dietro al gregge, quando non riuscivo a lasciarmi trasportare da pensieri positivi, mi avviliva. Lo trovavo tempo sottratto alla mia voglia di fare e di imparare qualunque cosa tranne ciò che i miei genitori mi obbligavano a fare: il contadino. Intorno agli undici/dodici anni avevo poi scoperto che in paese c’era un luogo chiamato Centro di Lettura, una sorta di biblioteca dove si potevano leggere libri, giornali, riviste e così via. Io, dopo tanto insistere, ero riuscito a convincere il parroco, che si occupava della gestione del locale, a permettermi di portare con me dei libri che poi, pascolando il gregge, leggevo in pochi giorni.
Avrei voluto studiare e laurearmi in ingegneria elettronica ma non ne ebbi la possibilità e, studiando di sera, riuscii a raggiungere solo la maturità come perito elettrotecnico.
Vuoi parlarci del libro che hai appena pubblicato e dei prossimi tuoi libri che usciranno?
Toccare il cielo, il libro pubblicato a marzo 2012 per la Robin edizioni, è un giallo ambientato a Torino.
Contro le aspettative dei giornalisti, che mi accusavano di saper scrivere solo di me stesso, ho creato questa storia inventandola a grandi linee in una sola serata. L’ho poi scritta in alcuni mesi impreziosendola con particolari che mi venivano in mente man mano che sviluppavo la narrazione. Invece con La voce del silenzio, il mio precedente romanzo, essendo una storia vera, non avevo potuto inserire nulla che creasse ulteriore suspense.
Il prossimo libro, che spero di pubblicare presto, sarà ancora autobiografico e parlerà di un tragico evento capitatomi mesi addietro. Sarà ambientato fra la cittadina in cui vivo, vicino a Torino, e l’ospedale Maggiore di Novara, dove sono rimasto ricoverato per alcune settimane.
A quale personaggio o evento di Toccare il cielo sei più affezionato e perché?
Parlando di Toccare il cielo sono affezionato a Gianni, personaggio principale, che per una serie di circostanze somiglia a Melo (protagonista del mio primo romanzo): fa lo stesso lavoro e ama la vita come solo pochi sanno fare e per non tradire le aspettative di nessuno è capace di soffrire in silenzio senza smettere di perseguire i suoi sogni. Sono affezionato anche a Matteo, altro personaggio sfortunato ma innamorato della vita e dell’amore che, a parte alcune sbandate legate alla giovane età, riesce a farsi spazio e ad emergere con tutto se stesso raggiungendo i suoi obiettivi.
Come ti è venuto in mente il titolo del tuo libro?
Al contrario di altri romanzi o racconti scritti negli anni, dove il titolo è citato più volte durante la narrazione, l’espressione “Toccare il cielo” compare solo in un momento culminante della storia. Anche perché quando si raggiunge la meta, chiunque direbbe: mi è sembrato di toccare il cielo.
Che cosa ti ha ispirato nella stesura di Toccare il cielo?
La prima ispirazione è stata la provocazione di un giornalista, per la quale mi sono sentito in obbligo di inventare una storia, poi mi sono ispirato anche alla cronaca dei giorni nostri, dove si legge e si parla spesso di stupri, di violenza e di giovani che delinquono e di ragazze che si vendono per arrivare al successo a ogni costo.
Cosa ti piace fare per divertirti o rilassarti quando non stai scrivendo?
Nella bella stagione amo curare i fiori del nostro giardino insieme a mia moglie e quando sono stanco sedermi all’ombra di un acero e leggere. Amo anche le passeggiate lungo i torrenti in montagna, dove trascorrerei gran parte del tempo libero a ossigenare cuore e mente. Nel lungo inverno piemontese, invece, mi piace andare a sciare ma, forse, dopo l’intervento subito, dovrò abituarmi a dire: mi piaceva. La maggior parte del tempo libero, che essendo impegnato con il lavoro e con la scrittura, è sempre meno, lo trascorro a leggere.
Se in questo momento potessi essere in un qualunque luogo nel mondo, dove ti piacerebbe essere e perché?
Mi piacerebbe essere da solo in una foresta inesplorata vicino a un fiume a una sola condizione: poter avere un computer per scrivere perché a mano, in questo momento, farei troppa fatica.
Perché mi piacerebbe essere là? Semplice: sto attraversando un periodo particolare della mia esistenza e mi piacerebbe isolarmi per capire davvero se è il mondo che non va più bene a me o se sono io che, dopo ciò che ho subito, non vado più bene al mondo. È un periodo che da qualunque prospettiva lo guardi, mi pare sempre più avido di cose inutili. Forse però non è il mondo a dettarmi questi sentimenti e spero che siano solo alcune persone che lo abitano.
Come riesci a coniugare la vita quotidiana e familiare con la scrittura? Hai il supporto dei tuoi cari?
Io sono un fautore del proverbio “Vivi e lascia vivere”. Tuttavia, ho anche il supporto di mia moglie, che ha capito che ho davvero bisogno di scrivere perché raccontare o raccontarsi è sempre stata una passione e un bisogno. Quando scrivo, riesco a estraniarmi dal mondo e mi sento leggero, come se fluttuassi senza peso in uno spazio senza confini e senza impedimenti.
Qual è stata una cosa divertente che ti è capitata nella tua vita di scrittore?
Le cose divertenti sono state molte, oserei dire tutte, perché ho sempre scritto per il solo piacere di farlo.
La cosa che trovo più gratificante è avere il piacere di discutere con le persone del pubblico durante le presentazioni, rispondere alle domande e disquisire insieme a loro sui temi del libro, sul significato di alcune similitudini e sul perché ho scritto certe frasi.
Se potessi incontrare di persona uno scrittore o una scrittrice, chi sarebbe e perché?
Mi piacerebbe incontrare Ken Follett perché, oltre a essere uno dei miei autori preferiti, credo che sia unico. Credo di aver letto tutti i suoi libri, a parte La caduta dei giganti. Se invece potessi incontrare una scrittrice, sarebbe di sicuro Vanessa Diffenbaugh. Il linguaggio segreto dei fiori mi ha stregato. Credo anch’io che ogni fiore abbia un suo linguaggio ma lei è riuscita a metterli insieme e a farli parlare, cantare e suonare come fossero dotati della parola e di uno strumento musicale che, se mi chiedessero qual è, direi l’arpa.
Fai una scaletta, uno schema del tuo romanzo, una sinossi prima della stesura o ti butti a capofitto nella stesura? Come concili l’aspetto pulsionale con quello razionale nella scrittura?
Da quando ho cominciato a scrivere di fantasia, sì, faccio una scaletta e una sorta di schema a blocchi altrimenti mi farei contagiare dall’inventiva e la narrazione, trasportata dall’aspetto pulsionale, rischierebbe di diventare ampollosa perché, anziché scrivere azioni, scivolerei spesso nel racconto dei pensieri e dei sentimenti dei personaggi.
Prima e durante la scrittura segui abitudini o rituali propiziatori particolari?
Scrivo solo quando sento l’ispirazione.
Hai altri libri nel cassetto o progetti in fase di stesura?
Ho due romanzi pressoché finiti, devo solo sistemarli, rivederli e inviarli a qualche editore in cerca di fortuna ma per ragioni di salute ho dovuti abbandonarli da alcuni mesi. Ora, che grazie a Dio comincio a stare bene, non li ho ancora ripresi perché sto “romanzando” ciò che mi è capitato e vorrei finire prima possibile quest’opera. Questo, probabilmente, sarà il romanzo che introdurrà il secondo tempo della mia vita.
Qual è stato l’evento più entusiasmante nella tua carriera di scrittore?
Una sera quando, durante una presentazione del mio primo romanzo, vidi arrivare un cameraman della Regione Piemonte e un giornalista che m’intervistò promettendomi che quell’evento, poiché c’erano tantissime persone, sarebbe stato trasmesso su alcune televisioni regionali. Quella sera, era il 13 ottobre del 2010, credo che la ricorderò per sempre.
Che cos’è per te la scrittura?
È una sorta di droga. È un rifugio in cui nascondersi e sfogarsi, dove essere triste o felice, dove si può provare l’illusione che tutti s’innamoreranno di ciò che scrivi e al tempo stesso che non interesserà nessuno. Tuttavia, per chi è abituato, continuerà a scrivere perché ne sente il bisogno. Scrivere è come avere sete: non si riesce a stare senza bere per troppo tempo…
C’è un messaggio che vorresti lanciare al mondo?
Non arrendiamoci. Mai!
L’Italia è sempre stato un Paese meraviglioso ma siamo riusciti a devastarlo con l’arrivismo, con l’avidità, con le bustarelle, con le mafie, ma soprattutto con l’ignoranza. In altre parole: abbiamo distrutto un paese con la politica praticata da politicanti senza scrupoli. Essi continuano a investire per coltivare l’ignoranza per un solo motivo: è più facile raggirare le persone ignoranti che quelle colte.