
Intervistiamo Simone Scala, autore del romanzo La Ragazza di Venezia (0111, 2o13).
Quando e perché ha iniziato a scrivere?
Intorno ai trentacinque anni ho cominciato con alcuni racconti; tutto è iniziato quando sono entrato in ruolo nella scuola pubblica. Raggiunto un traguardo, mi sono detto, perché non provare a raggiungerne un altro? Così mi sono messo a scrivere una novella sul precariato scolastico e da allora non ho più smesso. Perché scrivo? Per dire la mia sui fatti e sulle cose. Per riflettere e far riflettere; questa almeno è la mia speranza.
Qual è stata la prima opera letteraria che ha scritto in assoluto?
La montagna dei vecchi tricicli, una voluminosa raccolta di racconti (21) pubblicata nel 2008.
Vuole parlarci del romanzo che pubblicherà prossimamente, La ragazza di Venezia? Definirlo romanzo fantastico sarebbe, oltre che generico, riduttivo, perché per altri versi pervaso di dura realtà e attualità.
Una fiaba moderna sulla condizione femminile nel nostro Paese, soprattutto per quello che riguarda il mondo del lavoro. Un libro ironico ma al tempo stesso amaro, che fotografa l’Italia di oggi piena di magagne e di ingiustizie. E di persone troppo superficiali che si lasciano travolgere dagli eventi come fa la protagonista Alissa.
Quali sono state le motivazioni e gli episodi che l’hanno spinta a concepire questa storia?
Denunciare un presente che diveniva ogni giorno più inaccettabile e ingiusto. Far sentire la mia voce in un qualche modo, offrire il mio modesto contributo creando una sorta di fiaba sociale, rivolta soprattutto alle nuove generazioni.
Come rende i suoi personaggi credibili?
Cerco di costruire la loro psicologia e le loro azioni in maniera convincente. Ho grande cura dei dettagli, perché una storia ben fatta anche se fantasiosa non è altro che un puzzle in cui tutte le tessere devono combaciare perfettamente. Leggo e rileggo per vedere se quel tal personaggio è sempre coerente e credibile oppure no; se un pensiero, un gesto o una situazione non mi convincono li cambio. Poi mi metto a rileggere ancora. Talvolta mi chiedo: “Cosa farei io se fossi al posto di questo o di quel personaggio?” Così cerco di regolarmi di conseguenza.
Insomma, una faticaccia…
Quali sono i temi a lei più cari e perché?
Come ho già detto temi di natura sociale: dai problemi legati al mondo del lavoro esplosi a causa della crisi economica (disoccupazione giovanile e non solo giovanile, precariato, sfruttamento, delocalizzazione, discriminazione delle donne e mobbing sul posto di lavoro) alla difesa dei diritti sanciti dalla nostra Carta Costituzionale che oggi vengono messi costantemente in pericolo, come quello all’istruzione o quello alla salute, solo per fare degli esempi. E poi la difesa del nostro traballante welfare, il grande tema contemporaneo della globalizzazione e più in generale mi appassiona tutto quello che ci fa essere uomini e non delle “scimmie spaziali” (per citare Fight Club). Anche le dipendenze da Internet rappresentano un altro argomento molto interessante.
Che cosa l’ha ispirata nella stesura del suo manoscritto?
Una sincera e genuina indignazione verso quello che vedevo accadere ogni giorno nel nostro Paese.
Al di là degli scrittori, esistono artisti figurativi, cinematografici, musicali o di altro tipo che hanno influenzato la sua scrittura? Chi sono e perché hanno esercitato un ascendente sulla sua scrittura?
In ambito musicale citerei Caparezza e i Negrita per qualche loro canzone in particolare, in ambito cinematografico direi i film di Paolo Villaggio e dei fratelli Vanzina, per fare degli esempi, per la loro straordinaria capacità di rappresentare in chiave comica i mille problemi del nostro presente. Come scrittori invece partirei da Calvino e da G. G. Marquez, soprattutto da Cent’anni di solitudine.
Fa una scaletta, uno schema del suo romanzo, una sinossi prima della stesura? Come concilia l’aspetto pulsionale con quello razionale nella scrittura?
Scaletta e schemi si sprecano così come gli appunti che riporto su un apposito quaderno vicino al Pc. No, niente sinossi, quella la faccio solo alla fine dell’impresa e se qualcuno è interessato a ciò che ho scritto. Prima viene la scrittura di getto, poi subentra la ragione che analizza, rielabora e modifica tramite diverse letture e interventi quello che ho creato. Di solito rileggo il testo per cinque o sei volte quindi lo lascio “decantare” per un po’ di tempo e in seguito lo riprendo e lo sottopongo a nuove letture e revisioni. A volerlo non si finirebbe mai di ritoccare e di rimettere a posto, di limare e di snellire.
Un lavoraccio…
La protagonista, Alissa, è una ragazza davvero diversa o rappresenta qualcosa che è presente in ogni persona?
Alissa è una ragazza comune (anche se molto bella) che non riesce a gestire le situazioni che si trova a vivere. Rappresenta la nostra fragilità e i nostri errori; tutti noi siamo un po’ come lei e non dobbiamo dimenticarcelo. L’importante comunque è ripartire sempre, non mollare, non darsi per vinti e imparare dai propri errori. È proprio quello che fa lei al termine del romanzo.
Che rapporto ha con i suoi personaggi, al di fuori del singolo libro?
C’è sempre una parte di me in loro ma senza esagerare, anche perché ogni storia è diversa.
Qual è la sua missione, come scrittore?
Occuparmi dei problemi della nostra contemporaneità inventando storie. Questo mi piacerebbe fare. Intrattenere ma veicolare al tempo stesso dei contenuti per cercare di migliorare la realtà. Questo è il mio sogno, la mia utopia. E naturalmente scrivere il sequel della Ragazza di Venezia, visto che il finale del romanzo è aperto a questa possibilità.
Che cos’è per lei la scrittura?
Solitudine, tanta solitudine ma per fortuna non solo quello. È anche dedizione, impegno e riflessione prima di tutto con me stesso. È una sfida che non so ogni volta dove mi porterà. È un’utile palestra per il cervello. È forma di denuncia per migliorare le cose perché non dobbiamo mai sottovalutare il potere delle parole. Le parole sono davvero come pietre e possono cambiare il mondo.