Intervista ad Anthony J. Latiffi

Quando e dove sei nato?

Quarantacinque anni fa, a Valona, in Albania.

Qual è il tuo primo ricordo?

I nonni paterni, direi. I miei erano al lavoro, quindi si occupavano loro di me e mia sorella.

Che rapporto hai avuto con i tuoi genitori? Che valori, ideali e aspetti caratteriali ritieni di abbiano trasmesso?

Ho avuto e ho tuttora Lo scrittore albanese Anthony J. Latiffiun ottimo rapporto. I valori che mi hanno trasmesso sono quelli che trasmette ogni famiglia onesta. Come aspetti caratteriali, la tenacia, il non mollare mai perseguendo sempre l’obiettivo prestabilito. Devo aggiungere che fu mio padre a trasmettermi la passione per i libri; lui era ed è ancora un lettore accanito… e lo sono anch’io.

Come ti trovavi a scuola?

Bene direi. Anche se avevo predilezioni per alcune materie in particolare.

Del tipo?

Letteratura e storia su tutte. Ma amavo molto anche la fisica.

Com’eri da bambino?

Vivace. Curioso. Anche un bel chiacchierone. Almeno è quello che dice mia madre.

Cosa amavi fare a quell’età, e cosa avresti voluto fare da grande?

Amavo giocare, come tutti i bambini, del resto. Allora sognavo di fare il camionista, da grande. Era il mestiere che faceva mio padre, quindi per me significava la massima aspirazione.

Quando e perché hai iniziato a scrivere?

Dalle superiori. Ho cominciato con piccole frasi, che poi sono diventate versi e infine poesie. Ho iniziato per gioco, sfidando mia sorella. Lei era una poetessa nata, direi, io cercavo di prenderla in giro cambiando i suoi versi in qualcosa di comico. A volte la buttavo sulla drammaticità. Fu allora che lei mi consigliò di coltivare quella sorta di dono. Le ho dato retta perché la cosa mi divertiva e, soprattutto, mi ispirava.

Vuoi parlarci del libro Tempo per morire, il thriller-pulp che hai appena pubblicato con la casa editrice Parallelo45?

L’idea è nata cinque anni prima, dopo aver pubblicato Lo Yàtaghan, il mio primo romanzo. Ero in vacanza in Spagna con mia moglie. Mi trovavo lì per finire la mia seconda opera, che fa parte della trilogia de Lo Yàtaghan. Poi qualcosa è scattato dentro di me e l’ispirazione ha preso un’altra piega, verso una nuova storia, verso Tempo per morire.

Qual è stata la “molla”?

Non so cosa sia stato di preciso. Ero a Miami Platja, una località lungo la Costa Brava. C’era stata una rissa in un locale e c’era anche la polizia. In mezzo ai poliziotti ho notato una donna, che spartiva ordini con una certa disinvoltura. Si muoveva con un piglio maschile e, studiando i volti dei suoi colleghi uomini, ebbi la sensazione che la temessero. Quella notte non presi sonno e cominciai a meditare sulla storia. La mattina successiva mi misi a scrivere le prime bozze.

Che rapporto hai con i personaggi di Tempo per morire, al di fuori del singolo libro? Continuano a stare nella tua vita o se ne vanno una volta che scrivi la parola fine?

Stavolta rispondo con una frase sola: continuo a pensare a quella donna poliziotto e, a essere sinceri, mi dispiace averla usata in una storia così dura e drammatica.

E gli altri personaggi?Il libro thriller-pulp di Anthony J. Latiffi

Loro non se ne vanno mai. Stanno sempre con me, e aspettano che io li svegli dal letargo. A volte parlano con altri personaggi, così, per creare un contatto e cercare di parlare una lingua comune.

Cosa significa per te pubblicare un libro?

Semplicemente comunicare con la gente. Ti fai nuovi amici, nuovi sogni e aspettative. È una sorta di social network molto antico e allo stesso tempo molto moderno. Credo che il libro non vedrà mai il tramonto.

Come costruisci le tue storie?

Essendo nato come sceneggiatore, cerco di costruire una storia come se fosse un film. In poche parole lascio alla storia mano libera e mi faccio trascinare da lei. È proprio lei che detta le regole, e io mi adeguo alle sue esigenze.

Quali sono, se ci sono, su di te gli influssi della letteratura albanese – una costellazione di importanti autori ancora troppo poco noti in Italia – e quali sono presenti in questo libro?

Ce ne sono, e parecchi anche. Dritero Agolli, Ismail Kadaré, Sabri Godo, Fatos Kongoli e, soprattutto, Neshat Tozaj. Quest’ultimo è il padre del noir albanese, quindi è presente quasi in tutte le mie opere noir. Lo considero un maestro. Credo d’aver bevuto i suoi libri, perché se dicessi di averli letti non sarebbe equo.

Prima o durante la scrittura segui abitudini o rituali propiziatori particolari?

No. Nulla del genere.

Qual è il ruolo delle nuove tecnologie nella scrittura odierna e qual è il tuo rapporto con computer, Internet, SMS, ebook, ereader, tablet, iPad e via dicendo? Possono essere strumenti validi per pubblicare un libro con successo?

Credo che, per principio, le nuove tecnologie vengano inventate per migliorare la vita di tutti i giorni. Quindi è logico pensare che possano avere un’influenza positiva nella scrittura. Non posso fare a meno del PC. Come tutti del resto. Se possono essere strumenti validi per pubblicare un libro di successo? Direi che tutto aiuta. Ma un libro, per avere successo, deve possedere dei contenuti straordinari, capaci di toccare il lettore nelle sue corde più nascoste e superare notevolmente le sue aspettative.

Il booktrailer del tuo libro ha colpito molti tuoi lettori per la finezza con cui è stato realizzato, vuoi parlarci di come è avvenuta la sua realizzazione? Che ruolo hai avuto tu nella sua creazione?

Il merito va all’amico Luca Borri, che si è occupato della regia e del montaggio del booktrailer. Quanto al mio ruolo, essendo uno sceneggiatore, ho scritto la sceneggiatura, intervenendo a volte con dei suggerimenti. Ma, ripeto, il merito va al regista Luca Borri.

 

Esiste una lettura che pensi ti abbia reso migliore? Che cos’è successo dopo quella lettura?

Sì. La lettura dei cosiddetti ‘mattoni’. Schopenhauer, Friedrich Nietzsche, Martin Heidegger, Hermann Hesse, Franz Kafka e Goethe. Dopo aver letto le loro opere, ho cominciato a riflettere molto su me stesso e su tutto quello che aveva a che fare con la mia persona. Sono diventato più riflessivo e più posato, come si suol dire.

Se potessi incontrare di persona uno scrittore o una scrittrice, chi sarebbe e perché?

Ci sarebbe un elenco lungo. Perché io amo leggere e amo tanti scrittori. Direi Wilbur Smith. La sua scrittura sobria ed estremamente creativa mi ha aiutato moltissimo in un momento delicato della mia vita.

Al di là degli scrittori, esistono artisti figurativi, musicali o di altro tipo, oppure film o opere d’arte che hanno influenzato la tua scrittura? Chi sono e perché hanno esercitato un ascendente sulla tua scrittura?

Certo, come tutti, anch’io ho le mie fonti di ispirazioni. Voglio elencare solo i nomi, perché credo non ci sia bisogno di spiegazioni. L’ispirazione è come l’amore: lo senti e basta, non c’è un motivo preciso. Quindi dico: Francisco Goya, Marlon Brando, Mick Jagger, Forrest Gump, Il cenacolo.

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