Intervistiamo Maria Pia Trozzi, l’autrice del thriller Il cuore di Sarah, la cui seconda edizione esce questo mese con la Fuoco edizioni.
Vuole parlarci del libro che ha appena pubblicato nella sua seconda edizione?
Sono soddisfatta del lavoro che è stato fatto. Snellito nella forma, eliminati i refusi che inevitabilmente un autore esordiente si porta dietro, il romanzo sembra aver ripreso vita, anche i colori della nuova copertina e l’immagine sono più accattivanti. La storia è inquietante, tragica per il tema trattato. Ho cercato di addolcirla sotto certi aspetti, ponendomi dalla parte del lettore. È ambientato in America. Perché scegliere l’America? Ho pensato che in un paese tanto sconfinato, fatti come questi possono passare inosservati anche per lungo tempo, è un tentativo di esorcizzarli, in un certo senso.
Riguardo ai temi scottanti trattati nel suo romanzo, pensa che la situazione oggi sia in via di miglioramento o peggioramento? Qual è il grado di consapevolezza del pubblico e delle istituzioni?
Credo che il fenomeno sia molto più vasto di quanto si possa immaginare. Le istituzioni a difesa dell’infanzia si stanno attivando, si è parlato di dare un’identità ai bambini del terzo mondo. È sicuramente un passo decisivo che consentirà di arginare il rischio, un bambino che alla nascita non viene registrato è come se non esistesse. Occorre sensibilizzare l’opinione pubblica, gli spot pubblicitari lanciano l’allarme, sono efficaci, scuotono le coscienze, ma non basta.
Se potesse incontrare di persona uno dei suoi personaggi, quale sarebbe e perché?
Il tenente Peter O’ Brien, il poliziotto irlandese che “fa”, come è stato detto in una precedente edizione, atmosfera. Un uomo tutto d’un pezzo, ligio al dovere, che nel momento in cui si ritrova per le mani un caso scottante non esita a prendere posizione schierandosi dalla parte dei più deboli, anche a costo di compromettere una brillante carriera. È un personaggio creato con il cuore, non con la testa. Lo adoro!
Quali sono state le sue difficoltà nel portare avanti la scrittura su temi così dolorosi, e come è riuscita a superarle?
C’è sempre un prezzo da pagare, io l’ho fatto. Ho cercato di difendermi in qualche maniera. Non ho mai scritto un capitolo particolarmente doloroso di sera, avrei rischiato di passare la notte in bianco. Anche di giorno il problema era sempre in agguato: palpitazioni, respiro corto, sensazione di panico. Non serve ripetersi che tanto “è solo frutto dell’immaginazione”, scrivere coinvolge la mente e l’anima e qualche volta può anche far male.
Ritiene che scrivere questo romanzo l’abbia cambiata, o comunque abbia cambiato il suo modo di percepire il mondo?
Durante la stesura del romanzo ho dovuto imparare a gestire le emozioni, a relegarle in un angolo remoto del cervello, per poi rielaborarle e dargli un senso. È una crescita, un percorso in salita, un lavoro di introspezione, faticoso e doloroso. Quando si sceglie il filo conduttore del romanzo si è consapevoli solo in parte delle difficoltà, è solo quando si procede nella stesura che si affaccia il dubbio, prepotente, devastante: vado avanti o rinuncio? Questa domanda me la sono posta più di una volta, sono andata avanti chiedendomi perché accadono fatti così dolorosi, e se è l’indifferenza o la paura di affrontarli che ci porta molto spesso a ignorarli. Dal mio piccolo angolo di paradiso ho voluto lanciare un grido d’allarme, tuttavia rimango dove sono, non parto per una crociata per difendere l’infanzia abbandonata, aspetto, impotente e amareggiata, quindi non sono migliore di tanti altri. Poi ho scoperto l’altra faccia della medaglia, persone straordinarie, eroi che nessuno conosce, santi o angeli, che dedicano la loro esistenza a lenire il dolore dei più piccoli e indifesi. Così il cuore si apre alla speranza, si può tentare. Ogni parola affidata alla pagina è una piccola parte di noi, meditata, modificata e cancellata centinaia di volte con l’intento che arrivi dritta al cuore del lettore. Il lettore! Questo sconosciuto che per caso si ritrova in mano il tuo libro, che avrà il sacrosanto diritto di emettere un giudizio, quel giudizio tanto atteso e temuto, perché è risaputo che l’umiltà non è tra le doti primarie di uno scrittore, ma si può apprendere. Mi riesce ancora difficile assolvere qualcuno dei cosiddetti “amici”, che non ha ancora trovato il tempo di leggere il libro, ci sto lavorando.
A chi si ispira nel dar vita ai suoi personaggi?
È stato un processo spontaneo, facile, imprevedibile, autentico. Ho sempre avuto la certezza di averli incontrati in qualche luogo, di averli amati o odiati a seconda del contesto. Sicuramente, quello svolto dalla letteratura è stato un ruolo fondamentale, ho invitato il lettore a percepirli con la stessa intensità che ho provato io stessa nel crearli.
Qual è un autore classico e uno contemporaneo che è necessario leggere oggi, e perché?
Tra i tanti, quello di cui conservo buona memoria è il Manzoni, riletto qualche volta non per dovere ma per diletto “con il senno di poi”, e così ho scoperto che la sua è una poetica in evoluzione, oggettiva e realistica. Fu tra i primi a porre in discussione la necessità di abolire la secolare scissione tra la lingua dei letterati e quella viva del popolo. Con il romanzo dei Promessi Sposi riesce a tracciare non soltanto un grande affresco storico, ma anche a cogliere i risvolti umani, culturali, psicologici e spirituali, sociali e politici dell’Italia del seicento.
Davvero difficile scegliere tra gli autori contemporanei e spiegare il perché sia necessario leggerli. Penso che ogni autore abbia qualcosa da regalarci. Sono appassionata di noir anche se leggo di tutto, ultimamente ho riscoperto un autore britannico molto famoso, John le Carré. Conoscevo la sua fama di scrittore di spionaggio, avevo letto alcuni dei suoi romanzi in passato. Con Il giardiniere tenace, Le Carrè dà il massimo, abbandona il vecchio filone e si immerge in una realtà di abbandono e di degrado del Kenya, dove una multinazionale del farmaco conduce test sperimentali al di là di ogni regola e di ogni forma di rispetto per gli esseri umani. Oltre a essere un romanzo di attualità e di denuncia è anche una tenera storia d’amore, amore che va oltre gli schemi, autentico, tenace.
Che cosa le piace fare nel tempo libero, al di là della scrittura?
Mi piace leggere, fare lunghe passeggiate nei boschi in cerca di funghi, il contatto con la natura ha un potere terapeutico sulla mia psiche. Coltivo i fiori con passione, la stessa che ho per gli animali, e quando mi allontano, anche per un breve periodo, soffro la sindrome da abbandono. Mi piacciono il cinema, la musica e l’arte, ho provato a dipingere, a scolpire e a lavorare il merletto, sempre con scarsi risultati.
Qual è il suo luogo preferito per scrivere a casa? E fuori di casa?
Durante la presentazione della prima edizione del libro conobbi una scrittrice che diceva di riuscire a scrivere anche mentre aspettava che i figli uscissero da scuola. La guardai e provai un pizzico d’invidia. Io scrivo in cucina, avendo una famiglia, vi lascio immaginare quante distrazioni e interruzioni! Fuori di casa? Neanche a parlarne.
Prima e durante la scrittura segue abitudini o rituali propiziatori particolari?
Per abitudine preferisco scrivere al mattino. Aspetto che escano tutti, chiudo gli occhi, svuoto la mente e mi concentro, rievoco le ultime fasi del romanzo e aspetto che arrivi l’ispirazione, Se esistono rituali propiziatori mi piacerebbe conoscerne almeno un paio.
Che cosa le piacerebbe lasciare impresso nella memoria dei suoi lettori?
La sensazione di aver trascorso una mezz’ora piacevole leggendo il mio romanzo.